Il territorio-paesaggio della Provincia di Roma assegnato dalla riforma alla Città metropolitana di Roma Capitale (di seguito CMRC) è stato al centro di un dibattito e di un percorso che si è concretizzato nel 2015. La nascita di questa nuova autorità metropolitana con la funzione di pianificazione territoriale, viene a collocarsi entro una evoluzione storica segnata da una nuova centralità del fenomeno urbano entro una prospettiva postmoderna in grado di rilanciare la fisiologia insediativa dei diversi contesti (ad es. storico-ambientale).
Dunque la città di Roma e del territorio ‒ entrambe espressione della mediterraneità ‒ quest’ultimo riconoscibile tra valli e colline e modellato da geografie ottenute per somma e così straordinariamente complesso che è stato nei secoli continuamente riscritto dall’uomo ‒ un dialogo tra gli elementi della natura e del costruito (le architetture) ‒ utilizzando le condizioni morfologiche del territorio in un confronto, tra spazio, architettura e paesaggio dove appare possibile definire il paesaggio come il luogo dell’interpretazione e della modificazione spaziale della realtà territoriale e, pertanto, come luogo estetico.
Da questa premessa e nell’offrire le migliori condizioni di lettura seguiamo una linea di sviluppo incentrata in tre momenti maggiormente rappresentativi fatti di stratificazioni, sovrapposizioni, contaminazioni e trasformazioni: l’antichità, l’età di mezzo, l’età moderna.
Alla evoluzione-trasformazione dello spazio fisico, mutevole a seconda delle vicende della storia, il ruolo riservato, sin dall’antichità, alla Roma dei Cesari alla Roma tiberina (fig. 1) è stato quello di essere: la città del Mediterraneo in quanto la città dello scambio e del mercato. Roma testimonianza di diversità nel contesto italiano e non solo; Roma attestazione di una città nel tentativo di cercare un equilibrio in risposta ai cambiamenti della vita contemporanea e, nel contempo, il desiderio di convivere con la testimonianza viva del proprio passato essendo stata essa una delle più brillanti civiltà che il mondo mediterraneo abbia conosciuto.
La memoria del proprio passato e la conoscenza della propria storia ‒ in un corpo a corpo con la propria identità ‒ porta in sé un coagulo di significati e immagini eterogenee e spesso imprecise, ma che tuttavia ricompongono un’idea in grado di evocare suggestioni. E dunque, l’immagine che Roma veicola è quella di essere non solo una città della memoria e del mito che l’accompagna, ma anche quella di essere stata un nucleo generatore di uno spazio amministrativo unificato e regolato dal diritto e dalla diffusione di modelli estetici e stili di vita associati alla bellezza della forma nelle arti e nelle costruzioni concepite per stabilire i diversi livelli insediativi, favorendo un regime di maggiore o minore concentrazione, eterogeneità o esclusività d’uso. Oltre ad offrire un’immagine ‒ circondata com’è dall’immensa cinta aureliane (sistema difensivo lineare) alla quale si lega l’apparato radiale delle vie consolari costituendo un’unità unica nel suo genere ‒ di centralità mobile spostandosi secondo traiettorie diverse che implica l’analisi e la conoscenza del territorio dove, il territorio e più in generale il paesaggio, non appare statico ma assume aspetti formali e più concretamente funzionali, laddove gli eventi e i fatti descritti dalla storia si legano con esso arricchendolo di contenuti.
Un territorio storico che si è rivelato suscettibile ai cambiamenti nei rapporti tra gli uomini poichè teatro di di incontri e scontri tra culture e storie diverse. Come l’assedio e il sacco di Roma (24 agosto del 410) ad opera di Alarico, portando al re goto il successo desiderato per il solo fatto che il territorio circostante la Capitale risulta sguarnito di postazioni di controllo e di attacco. Come la lunga guerra gotica (VI sec.) che vede lo scontro tra due nazioni, goti e bizantini, al solo scopo di avere il controllo della città, conquistarla ma non distruggerla. Come la presenza musulmana nel mare e nel territorio (a partire dal VII sec.) dove, in questo caso, la difesa lineare aureliana evolve verso un sistema organizzato con postazioni e nuclei strategici attestati alla foce del Tevere, che concorrono a definire una difesa a rete fatta di collegamenti mediante messaggi visivi a difesa del nucleo centrale: Roma. Come il territorio romano riordinato in un nuovo paesaggio medievale militarizzato (a partire dal X sec.), fatto di torri e castelli ed anche di casali e centri religiosi fortificati che rappresentano i centri ordinatori della rete di comunicazione tessuta sugli antichi assi viari e sulla nuova viabilità medievale.
È proprio tra i sec. X e XI con l’espansione sul territorio, al di là della cinta aureliana, dei possedimenti delle nobili famiglie attestata sui feudi, che si genera il ridisegno dell’agro romano già compreso nel patrimonio di S. Pietro. Il nuovo paesaggio romano o paesaggio medievale, dunque, si popola di torri e di castelli a difesa e controllo di porzioni di territorio gestite dalla nuova e vecchia nobiltà romana. Queste architetture militari, dicevamo, rappresentano i centri ordinatori dove il concetto di difesa è capovolto: non è più Roma (nucleo centrale) da difendere ma i singoli territori (i feudi). Per questa ragione il sistema difensivo evolve in una nuova organizzazione definibile di tipo stellare ordinata gerarchicamente. Tutto ciò in coincidenza con il progressivo degradarsi della situazione politica romana, la perdita di autorevolezza da parte del papato e le lotte di potere tra i feudatari che si concluderà con il trasferimento della sede papale da Roma ad Avignone.
L’età moderna ha significato la organizzazione dello spazio mosso all’interno di una prospettiva delineata nel XIX sec. ‒ che vedrà la costituzione di due realtà, di due soggetti istituzionali complementari, prima della Provincia di Roma e dopo della CMRC ‒ che passa attraverso la ripartizione amministrativa dell’esteso patrimonio dello Stato della Chiesa, che possiamo localizzare, per buona parte, nel centro Italia (che va dalle odierne: NE Emilia Romagna; est Marche; centro Umbria; SO Lazio), in un numero di 17 delegazioni (dette anche legazioni), e dove quella di Roma è definita Comarca ed include Roma e buona parte dell’Agro Romano. Suddivisione questa voluta dal Pio VII (1800-1823) con l’editto del 1816, a cui faranno seguito successive riforme papali che vanno da Leone XII (1823-1829) a Gregorio XVI (1831-1846) a Pio IX (1846-1878) che vedono, tra l’altro, la riduzione in 13 del numero delle delegazioni.
Con la fine del potere temporale dei papi, seguita alla cessazione del sistema delle delegazioni e, con l’avvenuta annessione di Roma allo Stato Italiano, nel 1870, la formata Provincia di Roma va a racchiudere a sé cinque circondari: Roma (fig. 2), Viterbo, Frosinone, Velletri e Civitavecchia, che la porteranno ad essere una tra le province più estese d’Italia con una copertura all’incirca di un terzo del territorio laziale. Nei primi anni del ‘900 però il territorio provinciale subirà una riduzione dovuta all’istituzione di quattro nuove provincie: Frosinone, Rieti e Viterbo e poi quella di Latina.
L’effetto generato dalla Roma divenuta capitale d’Italia (1870), porta ad un veloce incremento demografico, oltre a stimolare l’apertura di grandi cantieri edilizi concentrando e polarizzando a sè le genti provenienti dalle diverse aree territoriali, acquistando così un carattere centralizzato di attrazione. Giovani, giovanissimi, anziani, donne, uomini, arrivati a piedi, a cavallo, sui carretti, da soli, con famiglie al seguito, sono carichi di masserie e pieni di speranza. Questa è l’immagine che si palesa, agli osservatori dell’epoca, presso le stazioni di posta e le osterie lungo le consolari. Poi le nuove funzioni legate alla Capitale favoriscono l’arrivo di tecnici e ammistratori dal Piemonte sabaudo.
Da quanto suesposto e dai piani di lettura proposti e distinti, ne è derivata la specificità di un’area vasta e significativa in quanto luogo d’incontro e di fusione, quale quella della Provincia di Roma posta in continuità, intesa come coscienza storica, con il nuovo Ente territoriale metropolitano (CMRC). Ponendosi, anch’esso, in relazione con la morfologia e il paesaggio, naturale e artificiale, secondo una logica geograficamente già disegnata dai 121 comuni (fig. 3) che la compongono e che la vedono confinante ‒ con i suoi oltre 5.300 kmq. ‒ a nord con la provincia di Viterbo, a NE con quella di Rieti, ad est quella dell’Aquila e Frosinone, a SE con Latina e da NO a SE l’esteso litorale che va da Civitavecchia a Torre Astura affacciandosi sul mar Tirreno o meglio ancora sul bacino del Mediterraneo.
L’immagine di centralità che il Mediterraneo diffonde costituisce una ricchezza di uno spazio fisico appartenente ad un’area geografica ben definita e luogo storico di incontro e di fusione di civiltà e, dove, la mediterraneità è sintesi di chiarezza, semplicità, concretezza figurale, solidità ed essenzialità della forma. Un’immagine di centralità, dunque, che può essere assunta come un valore identitario, per effetto del quale ci avverte che premessa ad ogni significativa innovazione è un salto culturale.